Chiudiamo il cerchio con la seconda e ultima parte dell’intervista alla redazione di CityRailways: ecco le restanti domande che abbiamo posto all’Ing. Andrea Spinosa uno dei due fondatori del sito assieme a Claudio Brignole, già membro storico dell’Associazione Metrogenova.
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3) In questi ultimi anni abbiamo notato come alcune città stiano provando a svoltare in termini di investimenti sulle grandi infrastrutture: le tranvie di Firenze e di Palermo stanno cambiando il volto delle rispettive città, Milano prosegue la sua corsa in modo incredibile all’espansione delle sue linee di metro, Bologna punta sul tram, Torino dopo aver aperto la linea 1 della metro sembra esserne uscita rinvigorita e pronta a rilanciare con la linea2. A Roma e Napoli, invece, come stanno le cose?
Roma ha avviato un difficile – e dagli esiti tutt’altro che scontati – processo di autoanalisi. La capitale è più di altre una città in cerca di una identità: città terziaria, capitale del turismo, laboratorio tecnologico? Un dibattito ancora aperto, che ha trovato in parte espressione nel nuovo Pums adottato il 2 agosto 2019. Un piano che vede un fortissimo impulso nei prossimi dieci anni, alla mobilità pubblica, alla ciclabilità, alla creazione di nuove isole ambientali (zone dedicate alla socialità e alla mobilità dolce). Basti pensare che lo scenario di Piano prevede 38 km di nuove tratte di metropolitana e 37 nuove stazioni; 49 km di nuove sedi tramviarie e 103 fermate; 95 km di corridoi della mobilità dedicati alla velocizzazione della rete di autobus. Il tutto per un investimento complessivo di poco inferiore ai 10 miliardi in 10 anni. E intanto l’Amministrazione ha deciso di continuare lo scavo delle gallerie della linea C fino a piazza Venezia, annunciando la volontà di proseguire verso il Centro storico. E ha presentato 7 progetti per l’acceso al finanziamento del Trasporto rapido di massa: ne sono stati accettati 6, per un totale di 719 milioni di euro. In particolare:
- acquisto di nuovo materiale rotabile per la rete tramviaria (50 unità da 24 metri);
- nuova tranvia viale Palmiro Togliatti, tra Ponte Mammolo MB e piazza di Cinecittà (stazione Subaugusta MA) con acquisto di 20 nuove vetture da 32 metri attrezzate con batterie o supercapacitori di bordo per la trazione autonoma nell’attraversamento dell’acquedotto Alessandrino;
- collegamento tramviario via Tiburtina da piazzale del Verano al piazzale della Stazione Tiburtina con riuso dell’esistenze corridoio della mobilità (che prima delle dismissioni degli anni Settanta era già percorso dal tram);
- riqualificazione e prolungamento dell’esistente linea Giolitti-Giardinetti con trasformazione nella linea Termini- Giardinetti – Tor Vergata. È stata richiesta la riemissione del progetto adottando lo scartamento tramviario ordinario (1.445 mm anziché l’attuale di 950 mm);
- funivia Battistini MA – Torrevecchia – Casalotti GRA;
- funivia Eur Magliana MB – Villa Bonelli FL1 (Funivia Magliana) sul fiume Tevere.
Napoli è una città che, a differenza di Roma, ha vissuto una importante stagione di pianificazione e programmazione del trasporto rapido di massa sul finire degli anni Novanta e i primi anni Duemila. Tutti ricorderanno il “Piano delle 100 stazioni” della Giunta Bassolino e gli sforzi fatti dal gruppo di esperti coordinato dal prof. Cascetta. Questa stagione ha portato ai cantieri dell’anello metropolitano della linea 1, alla nuova linea 6, alla bretella della linea Montesanto – Monte Sant’Angelo. Ma ci sono stati ritardi, aumenti di costi e la bellezza delle stazioni dell’Arte man mano inaugurate non ha potuto nascondere le difficoltà quotidiane che si sono palesate negli ultimi anni. Il trasporto pubblico di oggi è andato in crisi: mancano gli autobus, il servizio tramviario è stato sospeso ben oltre le esigenze del cantiere della linea 6, il servizio filoviario su una delle reti più importanti d’Europa, è ridotto all’osso. Non è un caso che Napoli abbia aderito alla procedura di finanziamento per il Trasporto rapido di massa con una proposta minore (BRT Napoli Est) per 23,5 milioni di euro. È necessario un colpo di reni, uno sforzo per riprendere il cammino virtuoso iniziato negli anni Novanta, rilanciando la rete del trasporto pubblico – a iniziare dal tram e dal filobus – e magari riprendendo i progetti rimasti nel cassetto come il collegamento tra il Centro e la stazione di Afragola-Porta Campania oppure tra il Centro, la Reggia di Capodimonte e i Colli Aminei.
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4) Facendo qualche passo indietro, che bilancio possiamo fare della Legge 443 del 2001, la legge Obiettivo, nata per finanziare le grandi infrastrutture e che alla fine ha spesso prodotto un rilevante indebitamento nelle casse degli enti locali, incapaci a loro volta di co-finanziare la parte restante? A Genova abbiamo ad esempio perso i soldi per portare la metropolitana allo stadio…
La strada per l’inferno è purtroppo lastricata di buone intenzioni: quando si parla di “semplificazione” in Italia è facile scivolare dall’alleggerimento della burocrazia alla legittima sospensione di ogni controllo. Le semplificazioni della legge Obiettivo con la figura del contraente generale, un gruppo di imprese appaltanti che poteva nominare il direttore dei lavori (controllore scelto dal controllato) facevano sì che attorno alle relazioni con il concessionario per conto dell’Amministrazione, si creasse una “macchina” sempre più grande e potente in grado di polarizzare ingenti risorse, spenderne e – anche involontariamente – sprecarne, spesso condizionando i decisori coinvolti. Una sorta di corruttela alimentata in maniera automatica. È attorno a questi meccanismi che si è polarizzato un arcipelago di società orbitante attorno a opere pubbliche e proposte di project financing. Sono questi meccanismi che hanno causato la crescita di indebitamenti sulle casse nazionali e, soprattutto, locali. Da qualche anno c’è una chiara e apprezzabile volontà di uscire da questo meccanismo: una volontà perseguita dall’Anac e che è stata resa operativa nel nuovo Codice degli Appalti. Uno strumento senza dubbio migliorabile, al quale sono stati affiancati risorse e strumenti affinché le pubbliche amministrazioni possano avere adeguate coperture finanziarie per gestire e realizzare nuove infrastrutture. Tutto sta nel non lasciarsi nuovamente prendere la mano dalle “semplificazioni” eccessive: errare è umano, perseverare…
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5) Riassumendo possiamo dire che per realizzare delle infrastrutture come tram e metropolitane servono senz’altro una pianificazione a lungo termine, un piano economico sostenibile e una visione di rete che non si limiti al singolo investimento. Nonostante questo, alcune città non riescono quasi a partire, mentre altre come Milano sembrano correre a velocità impressionante prescindere dai cambi di Giunta, di leggi e probabilmente di fonti di finanziamento. Possiamo imparare qualcosa dal capoluogo lombardo o la capacità economica che Milano ha a disposizione rappresenterà sempre una realtà irraggiungibile e non replicabile da altri (anche per Roma, nonostante sia la capitale)? Quanto spazio c’è oggi per puntare su dei project financing?
L’emergenza covid19 sta mettendo a dura prova la resistenza dei sistemi locali di mobilità. Vale per le grandi e lungimiranti metropoli europee come anche per le più piccole città italiane. Alla fine, ne usciranno prima le città dotate di una governance che precedentemente era stata capace di creare una visione. Pianificazione e programmazione sono i soli elementi capaci di garantire la resilienza tale per risolvere tanto le debolezze strutturali che molte città italiane si trovano ordinariamente ad affrontare quando ad affrontare le sfide di un mondo sempre più complicato: dalla covid19 alle richieste di un mercato globale che ha trasformato il vecchio confronto tra Stati in una koinè di città in perenne sfida le une con le altre per presentarsi come il posto più allettante dove aprire una nuova sede amministrativa, un nuovo punto vendita o un nuovo centro di ricerca. Milano è probabilmente l’unica città italiana che è riuscita a dotarsi di una visione: una prospettiva probabilmente troppo sbilanciata sul mercato immobiliare e questo è alla radice di alcune debolezze che l’incipiente crisi economica (antecedente all’epidemia di nuovo coronavirus) ha iniziato a far emergere.
Milano resta un laboratorio urbano importante capace di fungere da traino per molte altre amministrazioni: ma la Storia, dal Dopoguerra a quella più recente, ci insegna che l’Italia vince quando riesce a mettere a fattor comune diverse visioni con tutte le sue peculiarità locali. Milano, Roma, Firenze, Napoli, Venezia, Bari, Palermo, Cagliari, Genova: tutte possono offrire delle esperienze che vale la pena raccontare, studiare ed elaborare. Dobbiamo ritrovare lo spirito umanista de “La Città ideale”, il celebre dipinto di autore anonimo ospitato alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. Mi piace pensare che sia anonimo, perché esprime lo spirito di tutti gli italiani: un’opera corale, di cui siamo tutti autori.
Come mostrato da esperienze recenti, italiane ed estere, il progetto di finanza è uno strumento che ha una limitata applicabilità nel settore delle infrastrutture. La mobilità è un bisogno sociale e la remuneratività è prevalentemente di tipo sociale e ambientale. Il tramutarla in un flusso di cassa finanziario adeguato a risolvere un bilancio annuale garantendo il dovuto margine di guadagno ne fa un prestito oneroso di un gruppo di privati ad un ente pubblico. Date le regole stringenti che governano il mercato finanziario, il guadagno è forzatamente garantito dalle condizioni decise al momento della stipula dell’accordo di partenariato. La domanda che dobbiamo porci è: se un progetto garantisse da sé un margine di rendimento tale da renderlo appetibile in chiave privatistica, perché lo Stato non può realizzarlo con risorse proprie accedendo ai normali prestiti garantiti, ad esempio, dalla Cassa Depositi e Prestiti oppure dalla Banca Europea degli Investimenti?
In definitiva, qual è la città ideale che vorremmo per il 2030?
Immaginiamola e impegniamoci per realizzarla nelle città che viviamo.
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Intervista a cura di: Alex Bettucchi
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