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Torna la nostra rubrica dedicata ai personaggi che ruotano attorno al mondo del TPL genovese. Questa volta tocca a Fiorenzo Pampolini, già consigliere di amministrazione di AMT, rappresentante per Genova e la Liguria di UTP, saggista, di cui è noto lo studio del 2005, ovvero una delle prime proposte di reintroduzione del tram sulle strade di Genova. Oggi è uno dei saggi a disposizione della Giunta Bucci nell’ambito del trasporto pubblico.

 

pampo21Sig Pampolini, la giunta Bucci sembra aver preso seriamente in considerazione l’idea di reintrodurre il tram a Genova, pensa che sia la volta buona?

Lo vedremo nei prossimi mesi. Sicuramente ora possiamo dire che questa Amministrazione ha le idee chiare (o se le sta chiarendo) sul futuro del tpl genovese. Per anni, o per interi decenni, si è navigato a vista senza prospettive e, men che meno, investimenti che potessero far cambiare rotta alla gestione del servizio, con nuove infrastrutture su ferro come nelle più importanti città europee, dove il fulcro del trasporto pubblico è costituito da metropolitane e moderne tranvie. Oggi, si sta lavorando per progettare la Genova del futuro, dove il tram avrà finalmente un ruolo da protagonista con una riqualificazione delle zone da esso percorso, e dunque in definitiva con un decisivo miglioramento della qualità della vita.

2) Quanto è reale la possibilità che, dietro al progetto tram, vi siano degli spauracchi poco graditi agli esperti di mobilità come, ad esempio, il Translohr e filovie?

La decisione sulla scelta del vettore per gli assi principali del trasporto pubblico genovese è in fase di definizione. Si è parlato di cura del ferro, e dunque, con tale terminologia, si dovrebbero escludere automaticamente sistemi su gomma, come il Translohr, che io spesso definisco come “surrogato del tram” o “tram dei poveri” o il filobus da 24 metri, peraltro neppure omologato in Italia. Il Translohr (ovvero la tecnologia che impiega un mezzo di aspetto tranviario ma con una sola rotaia che fa da guida e dotato di costosissimi pneumatici che vanno sostituiti molto spesso) non ha lo stesso confort di viaggio del tram, ed è stato per ora adottato in pochissime realtà a differenza del tram classico presente in Europa in oltre 250 città. Tale sistema è inoltre legato a proprietà uniche sia per le vetture che per i pneumatici, per questi ultimi vige infatti l’esclusività Michelin. Il filobus (sia esso da 18 o 24 metri) non ha nessuna attrattività per i passeggeri che lo vivono come un autobus. A Genova, esiste una linea filoviaria (il 20) in servizio dal 2008, che non ha per niente fatto aumentare il numero dei passeggeri e che, non avendo a terra spazi diversi da quelli degli autobus, è spesso bloccata nel traffico, e altrettanto spesso, per aggirare gli ostacoli, viaggia con il motore termico, vanificando di fatto l’unico vantaggio del filobus rispetto all’autobus, ovvero l’assenza assoluta di emissioni di scarico. Ma, a questo proposito, si sta perfezionando la realizzazione di autobus elettrici, che possono essere altrettanto ecologici, senza bisogno di rete aerea di contatto.

3) Lei è stato uno dei primi esperti del settore a proporre pubblicamente uno studio atto a riportare il tram sulle strade di Genova: ci può illustrare almeno tre capisaldi del suo progetto che risultano ancora oggi dei punti di forza?

Possiamo dire che i tre capisaldi sui quali si regge il mio studio del 2005 sono le tre E del tram. Efficace (grande capienza, confort di viaggio, valida alternativa al trasporto privato), Economico (è vero che i costi di realizzazione di nuove tranvie, sono ingenti, ma in genere vengono finanziati dal Governo Centrale o da fondi europei a seguito di presentazione progetti validi, mentre la gestione su linee ad alta frequentazione consente risparmi sia negli ammortamenti, il tram ha una vita media almeno tripla rispetto all’autobus, sia per la grande capacità delle vetture le quali, con un solo conducente, trasportano fino a 300 passeggeri per volta), Ecologico (silenziosità dei tram moderni, ed assenza assoluta di emissione di gas di scarico).

4) Quanto pensa che i numerosi movimenti civici del settore, sorti negli ultimi 5-10 anni, possano finalmente influire sull’operato della Giunta Comunale in merito alle scelte sulle grandi infrastrutture urbane quali tram e metropolitana?

Fino a qualche mese fa, non c’è stata nessuna attenzione da parte della giunta locale sulla realizzazione di nuove infrastrutture. Per il tram, in particolare, tra il 2010 e il 2011 si era svolto in Val Bisagno un percorso partecipato con la cittadinanza che aveva individuato nel tram il giusto mezzo per quella zona (e in prospettiva per altre zone della città), ma l’Amministrazione che s’insediò poco tempo dopo dimostrò scarso interesse per questa opzione. Anzi, quasi a fine mandato, l’Assessorato al Traffico e Mobilità presentò uno studio con un livello di analisi molto approfondito, ma che proponeva ancora le tre opzioni busvia, filovia, tranvia, cancellando di fatto le decisioni di cinque anni prima. Intanto, veniva fondato a Genova il Comitato Si Tram, del quale ho fatto parte, che si propone proprio di sensibilizzare istituzioni e cittadinanza per la realizzazione a Genova di moderne tranvie, mentre  Associazione Metrogenova e Genova Underground continuano a sostenere la validità del mezzo tranviario come punto di forza della mobilità genovese insieme alla metropolitana. Ora, con la nuova Giunta, sembra che finalmente si stia muovendo qualcosa.

5) Facciamo un po’ di amarcord: quale fu il punto di massima estensione della rete tranviaria genovese e quale fu l’ultima linea della città a essere dismessa?

La rete tranviaria genovese raggiunse la sua massima estensione alla fine degli anni Trenta, e nel secondo dopoguerra, con la ricostruzione, fu riportata più o meno agli stessi livelli. In pratica, si poteva andare in tram in qualunque zona della città, con la sola eccezione delle linee collinari (ma il tram arrivava in Circonvallazione a Monte e a Carignano). Dal 1951, inizia il declino, dapprima sulle linee con percorsi in salita, sostituite con filobus, successivamente nei quartieri adiacenti al centro, come Borgoratti, Marassi, San Fruttuoso, San Martino, dove l’autobus prese il posto del tram. Tra il 1957 e il 1964, il tram era ancora il punto di forza del trasporto pubblico sulle quattro direttrici cittadine con capolinea in piazza Caricamento. L’estensione della rete arrivò a 120 km, con nove linee in esercizio (escluse le sussidiarie) ed un parco mezzi che superava di poco le 250 vetture. Ma l’Amministrazione Comunale prese una decisione drastica: via i tram dalle strade di Genova. Così, nel 1964, il tram si congedò dalle direttrici di Ponente e Val Polcevera, nel 1965 da quella di Levante e, infine, il 27 dicembre 1966, abbandonò anche l’unica linea rimasta, il 12, tra viale Brigata Bisagno e Prato.

Intervista a cura di: Alex Bettucchi

Abbiamo incontrato Giuseppe Viscardi, giornalista e noto esperto del TPL genovese, di recente candidato per la Lista Musso a sostegno della candidatura di Marco Bucci. Ecco le cinque domande che gli abbiamo posto in esclusiva.

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viscardi31) Dott. Viscardi lei è coordinatore di un gruppo di lavoro che sta elaborando un documento contenente delle indicazioni sul futuro del TPL genovese: com’è nata l’idea?
L’idea in realtà è presente già da qualche anno. Genova ha una forte tradizione trasportistica, e non soltanto nel campo marittimo. Qui hanno visto la luce le prime associazioni italiane ed europee di appassionati, e ancora oggi è molto forte la presenza di eccellenze nel settore. Una delegazione di “cervelli” della materia è stata ricevuta dal sindaco e ha avuto un mandato, informale ma preciso, di predisporre un documento che tracci le linee guida cui si deve ispirare il trasporto pubblico cittadino per i prossimi decenni.

2) All’interno di questa “commissione civica” quali soggetti sono presenti e, inoltre, c’è ancora spazio per altri?
Questo gruppo è composto anzitutto da persone che si conoscono e si stimano. Ognuno possiede proprie competenze e rappresenta un punto di vista particolare. C’è chi porta interessi di gruppi specifici, nati per sostenere un determinato mezzo di trasporto, c’è chi ha competenze tecniche, chi amministrative, chi economiche, chi ha lavorato per anni nel settore ad altissimi livelli e abbina conoscenze e passione, c’è chi porta la voce dell’utenza e chi ha raccontato la storia del trasporto pubblico ligure in articoli e libri. Lo spazio per collaborare esiste: l’importante è farlo con lo spirito giusto, che vuol dire non avere pregiudizi e non pretendere di imporre il proprio punto di vista. Il lavoro sulla mobilità nel suo complesso, infatti, ha senso laddove si abbia chiara la necessità di mediare tra domande differenziate.

3) Quando sarà pronto il documento?
Il documento è in parte già imbastito. Però stiamo cercando di fare le cose al meglio, con piante e illustrazioni, per renderlo visivamente più leggibile anche per i non addetti ai lavori. Diciamo che una prima stesura potrebbe essere disponibile ad agosto, ma il documento definitivo sarà pronto alla ripresa autunnale delle attività.

4) E’ prevista una presentazione pubblica del documento?
Non so dire se verrà organizzata una presentazione pubblica del documento, anche se è auspicabile. Tuttavia stiamo lavorando per farla: infatti è prevista anche una trasposizione in diapositive del nostro elaborato.

5) Sappiamo che tra le proposte del documento c’è un suo vecchio pallino, cioè il Museo dei trasporti genovesi: che tipo di struttura ha in mente?
Torno al punto iniziale: la grande tradizione genovese nel campo dei trasporti. Penso sarebbe del tutto naturale ospitare nella nostra città un polo museale – che preferirei chiamare in altro modo, perché museo sa di statico e noioso – che anzitutto censisca e raccolga mezzi storici che finora hanno miracolosamente evitato la fiamma ossidrica (tram, filobus, locomotive, autobus), e ne abbiamo tanti. La sede naturale di questo parco, per conto mio, è l’antica rimessa locomotive di Genova Pontedecimo. Risale ai tempi gloriosi della linea storica dei Giovi, e quindi è già da sé un pezzo da museo. Ho scritto più volte alla Fondazione FS, ma non ho mai ricevuto risposta. Mi piacerebbe che fosse il comune a prendere l’iniziativa, perché salverebbe da una triste fine un complesso storico, e otterrebbe di creare anche a Pontedecimo un polo di attrazione turistica.

Intervista a cura di: Alex Bettucchi.

La storica ferrovia a scartamento metrico Genova-Casella, tanto amata dai genovesi, rivive oggi un momento felice dopo decenni (1949-2002) di Gestione Commissariale e dopo una lunga chiusura per ammodernare la linea (anche a causa di importanti danni portati da una tragica alluvione). Caratterizzata da un tracciato suggestivo e molto tortuoso, inizia il proprio percorso dalla pittoresca stazioncina con pensiline in stile liberty di Manin. GeCa01Il treno, lentamente, si fa strada passando sul retro di via Burlando e via delle Ginestre, palazzi di un quartiere popolare, e si avvia a mezza costa sulla val Bisagno, lasciandosi in basso i popolosi quartieri di Staglieno e Marassi e alle spalle, ben visibile, il Golfo di Genova. A sinistra del percorso invece abbiamo i forti di Genova, che rimangono più in alto rispetto alla ferrovia: la linea è ricca di suggestione, con viadotti stretti e curve tortuose, in uno scenario a tratti surreale. Superate alcune fermate, si raggiungono le stazioni di Trensasco, Campi e Pino, spartiacque tra la valle del Bisagno e la valle del Polcevera. Siamo a circa metà della linea, il mare è ormai un ricordo, e lo scenario muta radicalmente. Siamo adesso in campagna, o meglio, in collina. La campagna per un genovese è diversa rispetto all’idea che può avere un piemontese o un emiliano. Non esistono pianure e la ferrovia si fa strada sempre a mezza costa, lasciandosi 200-300 metri più in basso le strette valli del Bisagno e del rio Sardorella (laterale del Polcevera), traguardando pittoresche località nel comune di Sant’Olcese, passando inmezzo a boschi e radure ove, quasi magicamente, compaiono piccole fermate. Si giunge al valico di Crocetta di Orero (458 m slm, è il più basso dell’appenino Ligure), comune di Serra Riccò, e il treno inizia la sua lenta discesa verso il deposito di Casella ove avviene l’inversione di marcia della vettura (in gergo regressione) per l’attraversamento del ponte Vittorio Veneto (per i primi anni di vita, il trenino, era limitato al deposito al di là del torrente Scrivia). E’ stato un viaggio lento, caratterizzato da rumori di ferrovie antiche, da odori di grasso ferroviario e su mezzi con decenni di vita alla spalle (alcuni sono stati restaurati di recente). Non c’è bambino genovese che non rimanga stupito quando sale per la prima volta su questo affascinante treno senza tempo, su motrici che hanno solcato i binari gloriosi di ferrovie a scartamento ridotto oramai in disuso come la Spoleto Norcia o la Ferrovia della Val di Fiemme. A5Negli ultimi anni una serie di investimenti sono stati messi sul piatto per tentare il rilancio definitivo della linea. La Regione Liguria è intervenuta con ingenti fondi per il recupero del tracciato dopo l’alluvione del 2014 e ciò ha comportato pesanti interventi ai ponti, al sedime ferroviario e alla rete elettrica di alimentazione. Una somma ingente è stata anche investita per la costruzione di un nuovo tram-treno, nello specifico si trattava di un veicolo unico nel suo genere, una sorta di prototipo costruito da Ansaldo (ora Hitachi) basato sulla struttura del tram Sirio. Durante la costruzione del mezzo molti test dei carrelli sono falliti e negli anni ci si è resi sempre più conto che quel treno non sarebbe stato adatto alle caratteristiche della Genova-Casella. Nel 2017 Regione Liguria e Hitachi hanno deciso consensualmente di rinunciare al completamento del prototipo e lo stesso ente regionale ha deciso di reindirizzare i fondi sul materiale rotabile già esistente, in modo da ottimizzarne resa e funzionamento. E’ difficile capire in che modo questa scelta avrà delle ripercussioni sul futuro della linea, ma nel frattempo va sottolineata anche la grande opera di tecnici e volontari che, progressivamente, si sono adoperati per restaurare elettromotrici e carrozze esistenti donando loro una livrea rossa fiammante, destinata a diventare elemento di riconoscimento della ferrovia. La Ferrovia Genova Casella è una delle attrazioni su ferro imperdibili, che merita di essere scoperta, anche come punto di partenza e appoggio per escursione sui sentieri alla spalle di Genova: interseca infatti numerosi segnavia FIE, oltre alla celebre Alta Via dei Monti Liguri, che passa a Crocetta d’Orero, ove ferma anche il nostro trenino. La Ferrovia, proprio per la sua vocazione turistica, è dotata di un suggestivo treno storico, utlizzato in particolari occasioni (o allestito su prenotazione). Di recente è stato utilizzato per lo spettacolo Donne in Guerra, portato in scena dalla compagnia del Teatro Cargo di Genova, che narra coraggiose storie di donne durante la seconda guerra mondiale, i cui destini si intrecciano sul tracciato della ferrovia: il trenino di Casella riuscì, infatti, a sopravvivere nonostante i fitti bombardamenti che Genova subì e venne utilizzato dai genovesi sfollati durante la guerra nell’immediato entroterra.

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Idee per il Trekking

Per consultare la mappa di percorso e passeggiate clicca—>QUI

– Tramite l’impianto AMT della funicolare Zecca-Righi si può raggiungere l’amata collina genovese detta del Righi, e passeggiare sui numerosi sentieri che conducono al Parco del Peralto e ai forti di Genova. In particolare si può salire al Forte Diamante e scendere in località Trensasco ove è possibile intercettare il trenino.

– Dalle fermate di Sant’Antonino e San Pantaleo si possono raggiungere i percorsi dell’acquedotto storico Genovese.

– E’ anche possibile sfruttare la ferrovia di Casella fino alla fermata di Sant’Olcese Tullo e iniziare il percorso naturalistico di Ciaè e verso il rifugio Lorefice.

– A Crocetta d’Orero si interseca l’Alta Via dei Monti Liguri (AVML), l’itinerario che collega Ventimiglia a Sarzana tramite le Alpi Marittime e l’Appenino Ligure, con una rete di 300 km di sentieri.

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Articolo e foto a cura di: Luca Bono

La storia della funicolare di Celle Ligure (conosciuta anche come Funicolare dei Bottini o Trenino di Celle) risale ai primi anni del Novecento ed è strettamente legata allo sviluppo della cittadina stessa. Il borgo storico si originò lungo la principale via di comunicazione costiera, tuttavia altre due zone furono interessate da una progressiva espansione urbanistica, cioè quella dei Piani e l’altopiano dei Bottini (proprietà di un’omonima famiglia genovese). L’altopiano dei Bottini, situato in una posizione strategica a picco sul mare e immerso nel verde della pineta, rappresentò un’opportunità importante per il rilancio di Celle, tanto che in loco furono realizzati dei villini di pregio in grado di offrire a residenti e ospiti un livello di accoglienza lontani dalla mondanità dei locali del centro. L’assenza di un efficace collegamento stradale in grado di agevolare gli spostamenti da e per l’altopiano, suggerì la necessità di realizzare un impianto di risalita comodo e veloce. Per la costruzione della funicolare venne, probabilmente, anche utilizzata manodopera costituita da prigionieri di guerra austriaci, ospitati a Celle presso l’oratorio di San Michele e destinati a opere stradali e di edilizia urbana. L’impianto venne completato nel 1919 e inizialmente fu concepito come infrastruttura di servizio sia per i nuovi villini in costruzione, sia per alcune attività commerciali della zona. funiL’effettiva entrata in funzione della funicolare risale però al 1922 e consisteva di un’unica cabina in grado di ospitare fino a dieci persone; la via di corsa, realizzata su un terreno della famiglia Cassinelli, si sviluppava lungo un percorso in grado di coprire i 45 metri di dislivello esistenti tra la stazione di partenza in via Cassisi e quella di arrivo sull’altopiano.
A fianco dei binari (forse dotati anche di cremagliera centrale) venne realizzata una scalinata di servizio in cemento armato dotata di oltre 200 scalini. celleokIn origine la stazione di partenza fu costruita in legno con un aspetto tipico da chalet, sostituita in seguito da un confortevole fabbricato in muratura. Il costo del singolo viaggio ammontava a 10 centesimi, ma le corse giornaliere erano solo quattro: due al mattino e due al pomeriggio. L’operazione di sviluppo immobiliare della pineta dei Bottini subì in pochi anni una battuta d’arresto restando un’incompiuta, questo causò ben presto il calo di interesse nei confronti dell’impianto di risalita a servizio dei residenti, considerato poco produttivo. La funicolare cessò di funzionare nel 1935 penalizzata, come altri impianti analoghi, dal miglioramento delle strade e dal diffondersi dei mezzi automobilistici. La breve vita dell’impianto ha avuto come conseguenza quella di rendere molto carente la documentazione ad essa collegata, tanto che la ricerca del nome del progettista o di qualche altra caratteristica tecnica è ad oggi risultata vana. Per molti anni Celle Ligure ha dimenticato questo storico impianto di risalita, tuttavia, nella totale indifferenza di molti, la vecchia stazioncina in muratura e la peculiare via di corsa (ormai priva di binari e con a fianco la storica scalinata) hanno continuato ad essere presenti in loco, seppur in preda al degrado. Negli anni 80 venne a più riprese valutata la possibilità di ricostruire la funicolare e si sono sprecate le ipotesi, tra cui quella di una monorotaia lineare, ma nessun progetto si concretizzò in quanto ritenuto un nostalgico sguardo ad un passato da Belle époque, non più proponibile. All’alba degli anni 2000 l’amministrazione comunale fece tornare di attualità il ripristino dell’impianto, finanziandone attivamente la progettazione e scegliendo come tipologia quella dell’ascensore inclinato. L’opera ha trovato parziale finanziamento da parte della Regione Liguria tramite dei fondi FAS europei ed il costo totale è stato di 840.000 euro, oltre agli oneri di manutenzione annuali a carico del Comune. I lavori, avviati nel 2014 sono stati realizzati dalla ditta Maspero Elevatori (la stessa che ha costruito, ad esempio, l’ascensore inclinato di Quezzi a Genova) e l’inaugurazione è avvenuta il 23 luglio del 2016. La cabina del nuovo ascensore ha oggi una capienza di 13 passeggeri, la via di corsa è la stessa dell’impianto storico e le due stazioni sono state completamente ricostruite secondo standard moderni. Dopo circa ottant’anni Celle Ligure può finalmente riabbracciare la sua Funicolare dei Bottini.

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Informazioni e foto storica tratte dal volume  “La funicolare dei Bottini. Cronache di Celle Ligure del primo Novecento” a cura di Franco Rebagliati, L. Editrice.

Articolo a cura di: Alex Bettucchi