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Chiudiamo il cerchio con la seconda e ultima parte dell’intervista alla redazione di CityRailways: ecco le restanti domande che abbiamo posto all’Ing. Andrea Spinosa uno dei due fondatori del sito assieme a Claudio Brignole, già membro storico dell’Associazione Metrogenova.

3) In questi ultimi anni abbiamo notato come alcune città stiano provando a svoltare in termini di investimenti sulle grandi infrastrutture: le tranvie di Firenze e di Palermo stanno cambiando il volto delle rispettive città, Milano prosegue la sua corsa in modo incredibile all’espansione delle sue linee di metro, Bologna punta sul tram, Torino dopo aver aperto la linea 1 della metro sembra esserne uscita rinvigorita e pronta a rilanciare con la linea2. A Roma e Napoli, invece, come stanno le cose?

Roma ha avviato un difficile – e dagli esiti tutt’altro che scontati – processo di autoanalisi. La capitale è più di altre una città in cerca di una identità: città terziaria, capitale del turismo, laboratorio tecnologico? Un dibattito ancora aperto, che ha trovato in parte espressione nel nuovo Pums adottato il 2 agosto 2019. Un piano che vede un fortissimo impulso nei prossimi dieci anni, alla mobilità pubblica, alla ciclabilità, alla creazione di nuove isole ambientali (zone dedicate alla socialità e alla mobilità dolce). Basti pensare che lo scenario di Piano prevede 38 km di nuove tratte di metropolitana e 37 nuove stazioni; 49 km di nuove sedi tramviarie e 103 fermate; 95 km di corridoi della mobilità dedicati alla velocizzazione della rete di autobus. Il tutto per un investimento complessivo di poco inferiore ai 10 miliardi in 10 anni. E intanto l’Amministrazione ha deciso di continuare lo scavo delle gallerie della linea C fino a piazza Venezia, annunciando la volontà di proseguire verso il Centro storico. E ha presentato 7 progetti per l’acceso al finanziamento del Trasporto rapido di massa: ne sono stati accettati 6, per un totale di 719 milioni di euro. In particolare:

  1. acquisto di nuovo materiale rotabile per la rete tramviaria (50 unità da 24 metri);
  2. nuova tranvia viale Palmiro Togliatti, tra Ponte Mammolo MB e piazza di Cinecittà (stazione Subaugusta MA) con acquisto di 20 nuove vetture da 32 metri attrezzate con batterie o supercapacitori di bordo per la trazione autonoma nell’attraversamento dell’acquedotto Alessandrino;
  3. collegamento tramviario via Tiburtina da piazzale del Verano al piazzale della Stazione Tiburtina con riuso dell’esistenze corridoio della mobilità (che prima delle dismissioni degli anni Settanta era già percorso dal tram);
  4. riqualificazione e prolungamento dell’esistente linea Giolitti-Giardinetti con trasformazione nella linea Termini- Giardinetti – Tor Vergata. È stata richiesta la riemissione del progetto adottando lo scartamento tramviario ordinario (1.445 mm anziché l’attuale di 950 mm);
  5. funivia Battistini MA – Torrevecchia – Casalotti GRA;
  6. funivia Eur Magliana MB – Villa Bonelli FL1 (Funivia Magliana) sul fiume Tevere.

 

Napoli è una città che, a differenza di Roma, ha vissuto una importante stagione di pianificazione e programmazione del trasporto rapido di massa sul finire degli anni Novanta e i primi anni Duemila. Tutti ricorderanno il “Piano delle 100 stazioni” della Giunta Bassolino e gli sforzi fatti dal gruppo di esperti coordinato dal prof. Cascetta. Questa stagione ha portato ai cantieri dell’anello metropolitano della linea 1, alla nuova linea 6, alla bretella della linea Montesanto – Monte Sant’Angelo. Ma ci sono stati ritardi, aumenti di costi e la bellezza delle stazioni dell’Arte man mano inaugurate non ha potuto nascondere le difficoltà quotidiane che si sono palesate negli ultimi anni. Il trasporto pubblico di oggi è andato in crisi: mancano gli autobus, il servizio tramviario è stato sospeso ben oltre le esigenze del cantiere della linea 6, il servizio filoviario su una delle reti più importanti d’Europa, è ridotto all’osso. Non è un caso che Napoli abbia aderito alla procedura di finanziamento per il Trasporto rapido di massa con una proposta minore (BRT Napoli Est) per 23,5 milioni di euro. È necessario un colpo di reni, uno sforzo per riprendere il cammino virtuoso iniziato negli anni Novanta, rilanciando la rete del trasporto pubblico – a iniziare dal tram e dal filobus – e magari riprendendo i progetti rimasti nel cassetto come il collegamento tra il Centro e la stazione di Afragola-Porta Campania oppure tra il Centro, la Reggia di Capodimonte e i Colli Aminei.

4) Facendo qualche passo indietro, che bilancio possiamo fare della Legge 443 del 2001, la legge Obiettivo, nata per finanziare le grandi infrastrutture e che alla fine ha spesso prodotto un rilevante indebitamento nelle casse degli enti locali, incapaci a loro volta di co-finanziare la parte restante? A Genova abbiamo ad esempio perso i soldi per portare la metropolitana allo stadio…

La strada per l’inferno è purtroppo lastricata di buone intenzioni: quando si parla di “semplificazione” in Italia è facile scivolare dall’alleggerimento della burocrazia alla legittima sospensione di ogni controllo. Le semplificazioni della legge Obiettivo con la figura del contraente generale, un gruppo di imprese appaltanti che poteva nominare il direttore dei lavori (controllore scelto dal controllato) facevano sì che attorno alle relazioni con il concessionario per conto dell’Amministrazione, si creasse una “macchina” sempre più grande e potente in grado di polarizzare ingenti risorse, spenderne e – anche involontariamente – sprecarne, spesso condizionando i decisori coinvolti. Una sorta di corruttela alimentata in maniera automatica. È attorno a questi meccanismi che si è polarizzato un arcipelago di società orbitante attorno a opere pubbliche e proposte di project financing. Sono questi meccanismi che hanno causato la crescita di indebitamenti sulle casse nazionali e, soprattutto, locali.   Da qualche anno c’è una chiara e apprezzabile volontà di uscire da questo meccanismo: una volontà perseguita dall’Anac e che è stata resa operativa nel nuovo Codice degli Appalti. Uno strumento senza dubbio migliorabile, al quale sono stati affiancati risorse e strumenti affinché le pubbliche amministrazioni possano avere adeguate coperture finanziarie per gestire e realizzare nuove infrastrutture. Tutto sta nel non lasciarsi nuovamente prendere la mano dalle “semplificazioni” eccessive: errare è umano, perseverare…

5) Riassumendo possiamo dire che per realizzare delle infrastrutture come tram e metropolitane servono senz’altro una pianificazione a lungo termine, un piano economico sostenibile e una visione di rete che non si limiti al singolo investimento. Nonostante questo, alcune città non riescono quasi a partire, mentre altre come Milano sembrano correre a velocità impressionante prescindere dai cambi di Giunta, di leggi e probabilmente di fonti di finanziamento. Possiamo imparare qualcosa dal capoluogo lombardo o la capacità economica che Milano ha a disposizione rappresenterà sempre una realtà irraggiungibile e non replicabile da altri (anche per Roma, nonostante sia la capitale)? Quanto spazio c’è oggi per puntare su dei project financing?

L’emergenza covid19 sta mettendo a dura prova la resistenza dei sistemi locali di mobilità. Vale per le grandi e lungimiranti metropoli europee come anche per le più piccole città italiane. Alla fine, ne usciranno prima le città dotate di una governance che precedentemente era stata capace di creare una visione. Pianificazione e programmazione sono i soli elementi capaci di garantire la resilienza tale per risolvere tanto le debolezze strutturali che molte città italiane si trovano ordinariamente ad affrontare quando ad affrontare le sfide di un mondo sempre più complicato: dalla covid19 alle richieste di un mercato globale che ha trasformato il vecchio confronto tra Stati in una koinè di città in perenne sfida le une con le altre per presentarsi come il posto più allettante dove aprire una nuova sede amministrativa, un nuovo punto vendita o un nuovo centro di ricerca. Milano è probabilmente l’unica città italiana che è riuscita a dotarsi di una visione: una prospettiva probabilmente troppo sbilanciata sul mercato immobiliare e questo è alla radice di alcune debolezze che l’incipiente crisi economica (antecedente all’epidemia di nuovo coronavirus) ha iniziato a far emergere.

Milano resta un laboratorio urbano importante capace di fungere da traino per molte altre amministrazioni: ma la Storia, dal Dopoguerra a quella più recente, ci insegna che l’Italia vince quando riesce a mettere a fattor comune diverse visioni con tutte le sue peculiarità locali. Milano, Roma, Firenze, Napoli, Venezia, Bari, Palermo, Cagliari, Genova: tutte possono offrire delle esperienze che vale la pena raccontare, studiare ed elaborare. Dobbiamo ritrovare lo spirito umanista de “La Città ideale”, il celebre dipinto di autore anonimo ospitato alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. Mi piace pensare che sia anonimo, perché esprime lo spirito di tutti gli italiani: un’opera corale, di cui siamo tutti autori.

Come mostrato da esperienze recenti, italiane ed estere, il progetto di finanza è uno strumento che ha una limitata applicabilità nel settore delle infrastrutture. La mobilità è un bisogno sociale e la remuneratività è prevalentemente di tipo sociale e ambientale. Il tramutarla in un flusso di cassa finanziario adeguato a risolvere un bilancio annuale garantendo il dovuto margine di guadagno ne fa un prestito oneroso di un gruppo di privati ad un ente pubblico. Date le regole stringenti che governano il mercato finanziario, il guadagno è forzatamente garantito dalle condizioni decise al momento della stipula dell’accordo di partenariato. La domanda che dobbiamo porci è: se un progetto garantisse da sé un margine di rendimento tale da renderlo appetibile in chiave privatistica, perché lo Stato non può realizzarlo con risorse proprie accedendo ai normali prestiti garantiti, ad esempio, dalla Cassa Depositi e Prestiti oppure dalla Banca Europea degli Investimenti?

In definitiva, qual è la città ideale che vorremmo per il 2030?

Immaginiamola e impegniamoci per realizzarla nelle città che viviamo.

Intervista a cura di: Alex Bettucchi

 

Dopo alcuni mesi torna la nostra rubrica dedicata alle interviste sul TPL e, per la prima, volta abbiamo superato i confini della nostra regione. Per questo quarto appuntamento abbiamo contattato la redazione del portale CityRailways che da anni si occupa di trasporto pubblico a livello nazionale ed internazionale. A rispondere ai nostri quesiti ecco l’Ing. Andrea Spinosa uno dei due fondatori del sito assieme a Claudio Brignole, già membro storico dell’Associazione Metrogenova. Di seguito la prima parte dell’intervista.

1) Ing. Spinosa in tempi recenti, a fronte di un bando nazionale nato per finanziare le grandi infrastrutture dedicate al Trasporto Pubblico Locale di massa, Genova ha sorprendentemente puntato sul filobus, restando forse l’unica città europea sopra i 500.000 abitanti a non avere il tram. La scusa è stata quella di voler coprire tutta la città in un sol colpo, cosa che non sarebbe stata possibile nel caso si fosse scelto il tram, anche se in realtà appare più come un tentativo di salvare AMT mantenendola in house. Tale decisione ha provocato incredulità da parte della maggioranza dei genovesi (in campagna elettorale sedotti con la promessa del tram) ma, vista da lontano, che tipo di valutazioni suscita?

Il problema è che in Italia il dibattito intorno alla mobilità urbana, non è mai maturato ma è rimasto bloccato ad un livello infantile. Ci avviciniamo ai trent’anni della ex legge 211/92, il primo strumento di finanziamento dedicato al trasporto rapido urbano dal tempo delle dismissioni degli impianti esistenti nel Dopoguerra sotto la forte spinta della motorizzazione di massa. Una spinta che doveva liberare la strada: per questo la motorizzazione era (apparentemente) amica delle metropolitane e degli autobus. Perché mettere i treni sottoterra, togliere binari e fili per i nuovi autobus – che all’occorrenza possono scansarsi, anzi devono scansarsi perché troppo lenti – risponde proprio all’esigenza di liberare la strada per dedicarla all’automobile. Ora, che ci siamo accorti dell’inganno di cui ci avevano avvertito in molti da oltre oceano, dove il “Nuovo” aveva origine – Lewis Mumford solo per citare qualcuno nella folta schiera dei rimasti inascoltati – ora che le città sono rimaste intrappolate tra la perenne carenza di spazi e la congestione, dovremmo parlare di riscoperta dello spazio pubblico per migliorare la vita quotidiana di tutti. Eppure, noi in Italia, restiamo bloccati in dibattito puerile che ondeggia tra le tifoserie del momento: pro- o -contro il tram, pro- o -contro le biciclette, pro- o -contro la mobilità condivisa.

Genova, purtroppo, non fa eccezione: fin quando il dibattito non metterà al centro la qualità dello spazio urbano, alla ricerca di una visione futura della città, non si riuscirà a sfruttare le nuove opportunità di finanziamento offerte dal Ministero dei trasporti per cambiare, in meglio, la quotidianità dei cittadini e di tutti quelli che frequentano la Superba. Metropolitana, tram e filobus sono solo degli strumenti: se non inquadrati in una pianificazione di ampio respiro – prima di tutto urbanistica – restano solo mezzi di trasporto. Il confronto tra una passeggiata a Genova e una a Nizza, oggi, vale più di qualunque spiegazione.

Tornando a Mumford, non si tratta di scegliere se realizzare o meno una infrastruttura: il tema che tutti dovrebbero avere ben chiaro, amministratori e cittadini, è quello di realizzare, finalmente, città “per i bambini e gli innamorati e non per le automobili”.

 Sia chiaro, nessuna crociata, l’automobile è un mezzo utilissimo. Ma se mettiamo l’auto al centro della progettazione della città, finiamo con l’avere città fatte di strade e parcheggi. Se viceversa mettiamo le persone al centro del progetto urbano potremo (ri)scoprire un uso diverso degli spazi urbani, un uso più adatto ai bisogni di socialità e spazi verdi.

2) La metropolitana di Genova presto crescerà, ma lo continuerà a fare in modo estremamente lento, nonostante i costi ridotti delle tratte realizzate in superficie. C’è inoltre una tendenza a rimandare nel prendere decisioni, ogni giunta cambia i piani di quella precedente (nel bene e nel male). La sensazione è che ciò accada perché la società civile e il tessuto economico non si espongono mai abbastanza nel ribadire la necessità di avere un mezzo performante e veloce a servizio della città, ne è un esempio il grande polo dell’ospedale San Martino che per l’ennesima volta deve rimandare il sogno di avere una stazione nelle vicinanze. Può essere questa una chiave di lettura realistica all’interno di una Genova che, sulla carta, vorrebbe tornare grande ma che si sta invece rimpicciolendo in termini di abitanti e imprese?

Questo accade proprio perché manca uno strumento di piano trasversale e di ampio respiro: i trasporti sono solo un mezzo, prima di dedicarsi alle analisi delle alternative bisogna capire dove si vuole andare, quali obiettivi si vogliono realmente raggiungere per la città.

Il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) non è uno dei tanti piani dei quali la legislazione italiana abbonda. Il Pums risponde a grave mancanza: nel nostro Paese il Piano urbano del traffico (Put) già dal 1993 è reso obbligatorio (art. 36) dal cosiddetto “Nuovo Codice della strada” per i comuni oltre 30 mila abitanti. Il Put è un insieme coordinato di interventi per il miglioramento delle condizioni della circolazione stradale nell’area urbana: è un piano attuativo che dovrebbe intervenire a valle di un documento programmatico generale della mobilità. Ma il Piano urbano della mobilità – Pum, con la legge 340/2000 Pums, guadagna la sostenibilità – non è mai divenuto obbligatorio. Formalmente non lo è nemmeno oggi: o meglio lo è, indirettamente, perché il DM 396/2019 lo ha reso condizione necessaria per le città metropolitane e le città con oltre 100 mila abitanti per la richiesta di qualunque forma di finanziamento sulle infrastrutture della mobilità.

Perché i Put sono stati resi subito cogenti mentre i Pums lo sono diventati solo oggi, a vent’anni dalla loro istituzione? Perché le nostre città sono fondate sull’automobile: il Codice della Strada, definisce la nostra concezione dello spazio pubblico come spazio che deve sempre e comunque concedere lo spazio di manovra in sicurezza di una automobile.

Con un parallelo matematico: se x indica la larghezza di una strada ed f la funzione che definisce lo spazio pubblico che soggiace a quella strada, il limite della nostra funzione f per x che tende a zero è una automobile. Cioè nelle nostre città, anche nelle periferie sorte spontaneamente senza una pianificazione, ciascuna proprietà si autolimita affinché lungo il rispettivo margine sia garantito il passaggio di almeno un senso di marcia automobilistico. Nessuno realizza autonomamente dei marciapiedi: non importa che ci sia spazio per muoversi in sicurezza, scendendo dalla propria auto. Spazio sicuro per camminare, aprire la propria cassetta postale, aprire in sicurezza il proprio portone senza rischiare di essere investiti.

Una città bella da vivere è una città nella quale la funzione che definisce lo spazio pubblico ha come limite per lo spazio disponibile che si riduce a zero, la persona non una automobile. La città deve mettere al centro della scena le persone non le automobili, che sono e restano un mezzo di trasporto. Ma in questo momento le automobili restano il fine attorno al quale organizzare la nostra vita: d’altro canto gli standard urbanistici (DM 1444/68) ci parlano di spazio minimo pro-capite per parcheggi pubblici e privati. Mica contemplano la dotazione minima obbligatoria di marciapiedi, di piazze oppure di fermate per il trasporto pubblico.

Solo cambiando prospettiva – un processo tutt’altro che semplice e che dovrebbe essere accompagnato da un dibattito nazionale – Genova potrà riflettere sui limiti del proprio sviluppo come città moderna. Una città nella quale la metropolitana è nata su una infrastruttura tranviaria (la Galleria della Certosa) pensata all’inizio del secolo scorso: da allora non si è più riusciti a immaginare una infrastruttura non stradale che potesse ricucire il Levante con il Ponente. E che potesse servire anche in maniera efficace la Valpolcevera e la Val Bisagno.

Cosa ha, Genova, oggi? Una metropolitana evidentemente incompleta. Una espansione novecentesca che si estende a est da Albaro a Nervi. E un Ponente che resta isolato, lungo il quale entro qualche anno sarà disponibile una infrastruttura ferroviaria che potrebbe essere dedicata alla sola mobilità urbana. Prima di pensare a una moltiplicazione di diverse tecnologie è opportuno ricordare che le rotture di carico sono la spada di Damocle dei sistemi di trasporto: prevedere un cambio di 3 mezzi lungo una direttrice di spostamento, equivale a perdere l’80% della domanda potenziale su quella direttrice.

La metropolitana può essere ripensata? Ci sono modelli di servizio che potrebbero confacersi meglio a una città come Genova? La metropolitana non raggiungerà gli anelati 100.000 passeggeri giornalieri aggiungendo una o due nuove stazioni per lato: li raggiungerà solo se si saprà reinventare come sistema in grado di unire Ponente e Levante.

Anche il discorso tram-sì, tram-no è pretestuoso: il tram non è un sostituto dei bus ordinari ma è un mezzo di trasporto superiore, per prestazioni e capacità. E a Genova non si può pensare al tram se prima non si risolve il dilemma del futuro assetto della metropolitana. Chiudo il cerchio: è mai stata eseguita una analisi costi benefici del trasformare l’attuale metropolitana in una sede per servizi tramviari (tipo pre-metro di Bruxelles, oppure MUNI Metro di San Francisco, una dorsale in galleria dalla quale si diramano linee tramviarie di superficie verso le periferie)?

[Continua…]

L’anno 2019, per il trasporto pubblico genovese, è stato caratterizzato da un significativo rinnovamento del parco mezzi di AMT: sono infatti state acquistate 118 vetture (108 nuove e 10 usate) che, grazie anche alla contemporanea radiazione di vetture più anziane, hanno contribuito a svecchiare l’età media del parco aziendale, portandola al valore attuale di circa 10,7 anni. Siamo ancora lontani da quella che dovrebbe essere l’età media suggerita dai regolamenti comunitari, ma almeno qualcosa si è mosso. La tabella sottostante riassume i nuovi acquisti indicando anche le linee dove in teoria dovrebbero essere utilizzate:

Tabella busOk

Facciamo adesso una rapida panoramica di cosa ha comportato l’arrivo di questi autobus.

I dieci Rampini elettrici in carico alla rimessa Mangini hanno di fatto mandato in pensione le vetture elettriche di vecchia generazione (Cacciamali Elfo): la capacità di poter prestare servizio durante la giornata, senza aver bisogno di continue ricariche, ha permesso di poter svolgere con le stesse vetture oltre alla linea 518 (interna all’ospedale di San Martino) anche le due linee di Nervi (516 e 517). Nel prossimi mesi è inoltre previsto un ulteriore acquisto di queste vetture con distribuzione alla rimessa di Cornigliano.

L’arrivo dei ventitre Vivacity si è rivelato un jolly prezioso. Nonostante siano arrivate con un ritardo considerevole rispetto a quanto previsto e nonostante la situazione non ottimale degli stabilimenti produttivi di Industria Italiana Autobus che le ha consegnate con allestimenti non proprio all’ultima moda, vengono spesso impiegate al posto di vetture da 10,5 metri e a volte anche al posto di quelle da 12 metri. Il loro arrivo sembrava dover mandare in pensione buona parte degli Autodromo Tango, ma al momento non ci sono state radiazioni massive ed al massimo si è registrato qualche spostamento di vetture di 9 metri da Gavette a Cornigliano.

I dieci Irisbus Citelis hanno permesso a Sampierdarena di poter gestire la linea 66 con vetture larghe 2,50 metri (e non 2,55), recuperando prezioso spazio per le manovre nei vari incroci. Nonostante siano vetture del 2009/2010 provenienti dalla loro dismissione da parte di TT Trieste, si stanno rivelando un acquisto valido.

Abbastanza paradossale è la situazione degli Urbanway: alla fine di dicembre 2019 risultavano tutti consegnati presso l’officina genovese dove sono stati fatti gli ultimi allestimenti, ma al 12 gennaio 2020 solamente sei vetture stanno svolgendo servizio con le rimanenti cinque in attesa di essere trasferite alla rimessa di Cornigliano, il tutto in evidente contrasto con quanto pubblicato sulle news del sito ufficiale di AMT che vorrebbero dall’ 01/01/2020 la linea 3 svolta integralmente con vetture ibride.

L’acquisto del FIAT Ducato ha permesso inoltre di poter mandare in pensione il vecchio Pollicino, così adesso AMT ha in dotazione tutte vetture con aria condizionata per il servizio disabili.

Originariamente sarebbero dovuti arrivare altri diciassette Menarini Citymood in taglia 10,5 metri, poi varie vicende che qui non stiamo ad esaminare, hanno portato invece all’arrivo di venti Mercedes Benz O 530 Citaro K. Queste macchine, tutte date in carico alla rimessa Mangini, hanno permesso la radiazione dei dinosauri Bredabus 2001.10 (del 1990/1991); una svolta epocale che non è stata indolore, visto che erano macchine gradite a buona parte del personale, sia per la loro grande capacità di carico sia per la loro duttilità in servizio sulle linee 35 e 44.

Chiudiamo questa analisi con le quarantatre vetture Mercedes Benz O530 Citaro G, suddivise tra le rimesse di Sampierdarena e Cornigliano. Il loro arrivo ha mandato in pensione gli Irisbus 491 Cursor di Cornigliano e i BredaMenarinibus 321U, per gli appassionati i Bredoni, dal loro rumore inconfondibile; inoltre alcuni Van Hool sono stati mandati a Gavette, cercando così di rendere più omogeneo il parco mezzi di questa taglia tra le varie rimesse.

Purtroppo la situazione del parco mezzi AMT è ancora critica, in quanto molto spesso si vedono su svariate linee, comprese quelle di forza, vetture di taglia inferiore rispetto a quelle che dovrebbero esserci, il che comporta vetture sovraffollate con conseguenti disagi per l’utenza.

Inoltre alcune di queste vetture, anche se nuove, hanno avuto e stanno tuttora avendo alcune problematiche inerenti prevalentemente il sistema di monitoraggio (Si.Mon) e soprattutto, essendo in garanzia, patiscono fermi più lunghi del previsto perché bisogna aspettare l’intervento della casa costruttrice per effettuare le varie riparazioni.

Di strada da fare ce ne è pertanto ancora molta nonostante nel corso del 2020 siano previsti ulteriori arrivi di nuove vetture che dovrebbero garantire un ulteriore svecchiamento del parco mezzi e si spera soprattutto un miglior confort di viaggio.

Ma non bastano i nuovi arrivi, se poi non viene fatta con continuità e attenzione la manutenzione (i recenti casi di principio di incendio di due Van Hool ne sono la prova più eloquente) e soprattutto se non viene attuata una concreta politica per rendere veramente appetibile il servizio pubblico a discapito di quello privato.

Articolo e foto a cura di: Andrea Aleo

Nell’aprile del 2019 un annuncio a sorpresa del sindaco di Genova Marco Bucci ha suscitato in città le reazioni più disparate, soprattutto in Val Bisagno, la zona interessata al progetto. Ma di che si tratta? Occorre dire che, per fortuna, di definitivo non esiste nulla neppure adesso a diversi mesi dalla conferenza stampa, tuttavia è ormai noto che l’attuale Giunta Comunale si è messa in moto per dotare la vallata di una monorotaia adibita a trasporto pubblico di massa. Addio al tram quindi, almeno secondo le intenzioni del sindaco Marco Bucci che lo definisce addirittura superato, preferendogli il filobus e ipotizzando la costruzione di una monorotaia, ribattezzata immediatamente Skytram per regalare in modo ruffiano un tocco di futuro all’infrastruttura e forse per far dimenticare le promesse annunciate in campagna elettorale.

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Il sistema Axonis della Almstom

Il sistema Axonis della Almstom

La città ha reagito alla notizia nel modo più variegato possibile: gli esperti del settore hanno bocciato (con piena ragione secondo noi) questa soluzione, mentre molti cittadini comuni hanno reagito positivamente all’idea. E’ quindi innegabile che questa ipotesi progettuale sia riuscita nell’intento di spaccare in due l’opinione pubblica, ma in realtà non ci si deve stupire poiché quando si parla di monorotaie si comincia a volare con la fantasia e si va rapidamente incontro a una serie di falsi miti che questo tipo di infrastrutture si porta dietro da sempre. Per la maggior parte delle persone parlare di questo Skytram è sinonimo di futuro, di innovazione, di qualcosa che rimanda ai film di fantascienza, senza però sapere che tale opzione è utilizzata pochissimo e comunque in modo molto marginale nel campo del trasporto pubblico. A ciò va aggiunto che mediamente il cittadino non conosce la differenza tecnica tra metropolitana, tram, monorotaia, people mover, etc e quindi tende a definire eccezionale qualsiasi soluzione che preveda l’utilizzo di mezzi gradevoli esteticamente in grado di suscitare fantasie spropositate nei confronti di qualcosa di nuovo. Se poi non rubano spazio al trasporto privato è ancora meglio. Non è un caso che, pur parlando di monorotaia, alcune soluzioni al vaglio della Giunta vadano in tutt’altra direzione, infatti si sta ragionando su mezzi come l’Axonis della Almstom che, di fatto, è una sorta metro automatica concepita per effettuare esercizio su viadotto, oppure su un nuovo ramo della metropolitana collegandolo alla linea esistente.

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Monorotaia Alweg a Torino

Monorotaia Alweg a Torino – 1961

Ma la passione per le monorotaie non si ferma qui. Ogni pretesto è buono per riesumare il ricordo della storica Telfer, realizzata nel 1914 per l’Esposizione Internazionale di Igiene, Marina e Colonie e che aveva il compito di trasportare i visitatori dal Molo Giano all’area espositiva dell’odierna Piazza della Vittoria. Quel tipo di infrastruttura (la prima realizzata in Italia) continua a suscitare enormi rimpianti tra la gente, visto che c’è chi, ancora oggi, esprime rabbia per il suo smantellamento senza però rendersi conto che a causa del suo tracciato, quasi interamente collocato in aree portuali, non avrebbe oggi alcun senso o rilevanza in termini di trasporto pubblico locale. Non è un caso che la Telfer restò in funzione pochissimo e che, finita l’esposizione, si tentò di tenerla in vita sfruttandola (senza successo) per il trasporto merci, confermandone la natura di impianto dimostrativo e/o di intrattenimento ed evidenziando la difficoltà a trovare una sua precisa collocazione nel contesto urbano. A conferma di ciò va ricordato l’analogo destino della monorotaia di Torino realizzata dalla Alweg nel capoluogo piemontese nel 1961, in occasione dell’Esposizione Internazionale del Lavoro, e chiusa dopo pochi mesi. Genova sembra quindi continuare a manifestare un interesse atavico nei confronti delle monorotaie, forse per la sua cronica mancanza di spazi nell’ambito urbano, e vittima di ciò è stato anche il figliol prodigo Renzo Piano che nell’ambito dell’ affresco donato alla città più dieci anni fa, concepì il progetto di una monorotaia Aeroporto – San Martino di quasi dodici chilometri, con un tracciato che in gran parte si sarebbe sovrapposto alla metropolitana e che, nella sua parte finale avrebbe ricordato da vicino proprio la Telfer.

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Tornando all’attualità è opportuno rilevare che, in realtà, a Genova ci si sta muovendo non per una ma bensì per due monorotaie. Sì perché mentre ci si sta interrogando sul futuro del trasporto in Val Bisagno, nel pacchetto dei finanziamenti richiesti al Ministero dei Trasporti non è presente quella destinata alla vallata, ma quella progettata per collegare il polo tecnologico degli Erzelli con la futura omonima stazione ferroviaria. Anche in questo caso l’ipotesi fa acqua da tutte le parti, il progetto è a uno stadio arretrato e non convince il ministero, bisogna però evidenziare che si tratta di una proposta per la quale esiste almeno uno studio, cosa che non si può dire al momento per la Val Bisagno. In definitiva, se proprio Genova a livello culturale non riesce a staccarsi dal sogno (o follia) della monorotaia, allora possiamo provare a entrare nel vivo della questione a livello strettamente tecnico per provare a dimostrare che per la Val Bisagno non è auspicabile tale soluzione e che esistono opzioni decisamente più idonee. Non parleranno le sensazioni, ma parleranno i numeri.

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ANALISI TECNICA (A CURA DELL’ING. ALFREDO PERAZZO)

La Val Bisagno, per spostamenti generati, è il secondo bacino di utenza genovese. Nel 2008, le matrici costruite dal Comune di Genova e calibrate sulle presenze del trasporto pubblico, evidenziavano un carico nell’ora di punta pari a 3.000 passeggeri nella direzione verso il centro nella tratta Molassana – Brignole (sponda destra) e di 2.900 passeggeri tra Piazzale G. Ferraris e Brignole (sponda sinistra). Al netto della diminuzione dei passeggeri su trasporto pubblico, legata principalmente alla decrescita demografica della città e al taglio del servizio dell’azienda municipalizzata (-18% delle corse di AMT dal 2008 al 2016), si considera una diminuzione dell’utenza pari al 17%, riduzione che colpisce anche in val Bisagno. Ne consegue che, attualmente, il carico è stimabile attorno alle 2.500 unità in sponda destra, e alle 2.400 unità in sponda sinistra. Nel mentre, il volume generato dal trasporto privato è rimasto costante, a causa della decrescita dell’utenza nel Trasporto Pubblico, compensata dall’aumento dei mezzi a due ruote.

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L’obiettivo, individuato correttamente anche nel PUMS, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, approvato lo scorso luglio, deve pertanto essere la riduzione della pressione veicolare grazie al potenziamento del Trasporto Pubblico Locale. Tuttavia, nel documento programmatico (PUMS), non viene individuato quale modo di trasporto sia più efficiente in termini finanziari, in quanto il modello di traffico si limita ad un mero confronto tra lo scenario dello Stato di Fatto e lo scenario proposto, senza alternative per modo e per piano d’esercizio (PUMS, pag. 217)Anzi, vengono proposte due infrastrutture di cui non vi è traccia nel modello di simulazione:

  1. Prolungamento della metropolitana verso Sampierdarena
  2. Skytram, ovvero un’infrastruttura non definita tra Molassana e Brignole. Si ritiene che le idee di riferimento possano essere, come detto, l’Axonis della Alstom o il prolungamento della metro da Brignole, entrambe le soluzioni su impalcato

La presentazione della richiesta di 547 M€ al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (PUMS, cap. 5.3.4, pag. 247) per il Bando dedicato alle linee di forza, inviata da AMT e Comune di Genova, propone come modo di trasporto ideale per la città il filobus. Come da notizie delle ultime settimane, il comunicato ufficiale del MIT respinge la richiesta del Comune di Genova per gravi carenze tecniche, chiedendo integrazioni e nuove documentazioni, quali:

  1. Progetto e studio di fattibilità
  2. Modello e piano d’esercizio
  3. Piano economico – finanziario

Alla realtà dei fatti, il Comune di Genova ha richiesto 547M€ senza documenti basilari per il rilascio dei fondi stessi, soldi fondamentali per lo sviluppo infrastrutturale delle linee di forza del Trasporto Pubblico Locale, di cui la Val Bisagno è parte integrante.

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VAL BISAGNO, APPROCCIO PER UNA MOBILITA’ SOSTENIBILE

Si riassumono nel seguente paragrafo alcune analisi atte a consentire ai lettori di costruirsi un’opinione neutrale sull’argomento. Si riportano nella tabella sottostante i dati per modalità di trasporto:

Dati per modalità di trasporto

Dati per modalità di trasporto

La validità dei dati è vincolata all’ipotesi di progetto che Bus e Filobus saranno effettivamente pensati con sede protetta nell’interezza dei percorsi. In alternativa i calcoli andrebbero a penalizzare la scelta del modo di trasporto privilegiando il TCSP (Trasporto Collettivo in Sede Protetta su Ferro). La costruzione di una nuova infrastruttura di trasporto pubblico in una direttrice, o la riqualificazione degli assi esistenti, modifica l’attrattività del sistema di trasporto pubblico, portando ad un incremento dei passeggeri di linea. Tale incremento varia pari dal 15% dei mezzi su gomma in sede protetta al 50% (a Firenze il 68% per la T1) dei mezzi su ferro e si divide per:

  1. Comfort e puntualità
  2. Effetto rete con altri mezzi su ferro (ferrovia, metropolitana)

Per garantire attrattività al sistema è fondamentale la puntualità del mezzo, possibile solo con l’inserimento di corsie protette lungo tutto il tracciato. La val Bisagno presenta complicazioni dal punto di vista progettuale, data l’insistenza di diversi punti critici. Si ricorda, tuttavia, che il filobus presenta una sezione di 7 metri, il convoglio tranviario da 2,4 metri di larghezza ha sezione pari a 6,30 metri. Riguardo al Comfort di viaggio, 3 persone a metro quadro, circa 110 passeggeri in un autobus/filobus da 18 metri, rappresentano un livello di scarso comfort di viaggio. Prendiamo una linea da 30.000 passeggeri/giorno, 3.000 passeggeri nell’ora di punta per direzione (p.e. Val Bisagno). Se la scelta ricade sul filobus da 18 metri e 110 passeggeri per mezzo (comfort scarso), servono 29 passaggi in un’ora per senso di marcia per trasportare il volume atteso, circa un filobus ogni 2 minuti. Ipotizzando lo stesso comfort di viaggio, per soddisfare la richiesta di volume sarebbe necessario un tram da 36 metri ogni 3,5 minuti. Se per caso si facesse la scelta di Nizza (tram da 44 metri) la frequenza salirebbe a 5 minuti, 4 minuti con comfort alto. Il tram, pertanto, non solo ha un costo d’esercizio inferiore del 25% rispetto al filobus, ma offre più posti per passeggero garantendo pertanto un comfort maggiore. Va fatta una precisazione: un filobus ogni 2 minuti su sede protetta delinea la costruzione di BRT (Bus Rapid Transit). A Genova è complicato riproporre il BRT, a causa della saturazione degli incroci data dall’eccessivo carico veicolare, che difficilmente consentirebbe una programmazione semaforica basata sulle precedenze ai mezzi pubblici con cadenze così ristrette. Con così poca distanza tra mezzi e senza preferenziazione semaforica, si rischia l’accodamento dei mezzi pubblico, con logica perdita di produttività.

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Riguardo all’effetto rete, questo è nullo se gomma – gomma, mentre raggiunge il massimale con interscambio ferro – ferro. Pertanto, un conto è avere uno scambio da bus a ferro (es. da bus collinare a tram/Metro, attrattivo), un conto è avere uno scambio tra ferrovia e tranvia (molto attrattivo), un conto è stoppare la corsa di un autobus per favorire lo scambio su altro autobus (scende ovviamente l’attrattività). Anche in questo caso, il tram garantisce attrattività rispetto ad un filobus. Pertanto, se il filobus fosse totalmente in sede protetta e garantisse un minimo di comfort, potrebbe portare nella migliore delle ipotesi al 18-20% dell’aumento delle persone sul mezzo pubblico sulle direttrici considerate (solitamente un filobus non attrae più dell’8% aggiuntivo dell’utenza). Diversamente, il tram, viaggia tra il 45% ed il 60%. Su una linea da 30.000 passeggeri, un conto è spostare 1.750 persone al giorno (filobus) dal mezzo privato al mezzo pubblico, diversamente il tram consentirebbe lo shift modale tra le 4.300 e le 5.700 unità. Questa differenza di attrattività si ripercuote sui costi sociali, così come dimostrato nei paragrafi successivi.

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LA SCELTA DEL PUMS

Il PUMS, come precedentemente descritto, opta per l’inserimento di un’infrastruttura filoviaria sulla sponda destra del Bisagno, per larghi tratti in sede protetta (soluzioni progettuali rimandate in sede di progetto), coadiuvata da un sistema su impalcato, detto SkyTram (modo di trasporto non definito, forse su sponda sinistra). L’ipotesi di inserire due modi di trasporto paralleli non è produttiva, in quanto si avrebbe una somma dei costi di costruzione e di esercizio, mentre il ricavo rimarrebbe uguale, in quanto il bacino di utenza verrebbe semplicemente diviso tra le due componenti di trasporto. Il costo di costruzione dello SkyTram, indicato sui 60 milioni di euro a km, si andrebbe a sommare agli 8 milioni di Euro a km del filobus con un costo operativo lordo pari ai 15€/km (7,3M€/km Alstom Axonis, paragonabile allo SkyTram, 7,8M/km filobus); la metrotranvia costerebbe invece 27 milioni di euro a km e avrebbe un costo operativo di circa 13M/km. Si riporta l’analisi economica base di confronto tra la scelta del PUMS (Filobus + Skytram) ed il possibile inserimento di una metrotranvia:

Analisi economica di confronto tra la soluzione PUMS Filobus + SkyTram e la metrotranvia

Analisi economica di confronto tra la soluzione PUMS Filobus + Skytram e la Metrotranvia

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Nei 30 anni di vita utile delle opere, l’opzione presentata nel PUMS provocherebbe un disavanzo economico di quasi 500 milioni di Euro ai danni della collettività. Si ha l’impressione che lo SkyTram sia un rimedio successivo alla richiesta di finanziamento presentata dal Comune di Genova in collaborazione con AMT dettato dal fatto che, come spiegato in precedenza, il filobus da 18 metri non sia idoneo a garantire le prestazioni legate alla domanda di trasporto. L’idea di inserire un’infrastruttura parallela all’attuale asse di forza su gomma è giusta solo se sostitutiva delle linee di forza stesse, purché questa sia migliorativa per costi di esercizio ed affidabilità, es. la metrotranvia. Questo è possibile solo con fermate distanti massimo 400 metri l’una dall’altra (non 800 metri come ipotizzato con lo SkyTram) e, soprattutto, accessibili. Inoltre, l’inserimento di un’infrastruttura in rilevato sarebbe percorribile, a Ns. avviso, solo ed esclusivamente nei pressi di via Piacenza, ed è una scelta legata alla discutibile volontà di non alterare i seppur fragili equilibri viabilistici locali.

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LA PROPOSTA DI SCENARIO

Sebbene un BRT (con filobus da 18 o 24 metri) garantisce, in mera analisi economica, un rientro efficace per i volumi in gioco, è anche vero che per le impossibilità tecniche di cui sopra il tram rappresenta la scelta migliore dal punto di vista finanziario, ovvero per via delle ricadute sul Sistema Sanitario Regionale, pagato da ogni cittadino ligure. I costi finanziari dipendono principalmente dal numero di auto e moto circolanti: un mezzo pubblico attrattivo permette di ridurne la quantità. Quel costo sociale vale un ordine di grandezza maggiore rispetto ai costi di esercizio del Trasporto Pubblico Locale. Nella tabella sotto si ha evidenza della differenza sostanziale tra analisi economica (mero costo del trasporto) ed analisi finanziaria, che comprende lo shift modale e le esternalità positive e negative:

Analisi economica e finanziaria per tratta

Analisi economica e finanziaria per tratta

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I calcoli danno evidenza delle errate scelte inserite nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, che non considera il fondamentale impatto dei costi sociali nelle scelte programmatiche. La differenza del costo di costruzione delle infrastrutture (8 Milioni di Euro a km BRT, 27 Milioni di Euro a km metrotranvia), va trovata mediante finanziamento privato (soluzione project financing con gestione della linea) o via pubblica, mediante Regione (coinvolta per via dei successivi risparmi dettati dalla riduzione della spesa sanitaria) o attraverso lo Stato, che ha avuto il merito di bandire un ricco concorso per il finanziamento delle linee di forza. Certo, le opportunità vanno sfruttate. La sponda sinistra, dato l’alto volume di passeggeri in un così breve sviluppo di tracciato (2 km), già in analisi economica evidenzia la necessità dell’inserimento di un vettore su ferro, che permetterebbe un risparmio annuale nella gestione dell’esercizio (1,5 milioni di Euro). Da tali considerazioni si può affermare che il modo di trasporto idoneo per la Val Bisagno è la metrotranvia:

  1. Tratta Staglieno – Brignole  (Metrotranvia su strada)
  2. Tratta Molassana – Staglieno (Metrotranvia su strada o, se impossibilitati da problemi tecnico/politici, in rilevato)
  3. Tratta Brignole – G. Ferraris (Metrotranvia su strada)

Tale soluzione sarebbe poco apprezzata dai vertici dell’Azienda Municipalizzata dei Trasporti (AMT) di Genova, in quanto, essendo la metrotranvia una nuova infrastruttura e soggetta a gara europea per la gestione del servizio, andrebbe a penalizzare eccessivamente l’azienda municipalizzata, che rischierebbe di perderebbe il controllo e la gestione di linee quali il 13 o il 14, o il 47. Tuttavia, con le scelte inserite nel PUMS e presentate al Ministero, a farne le spese, ancora una volta, saranno i cittadini genovesi, che non solo non godranno di un mezzo pubblico attrattivo, ma pagheranno costi nascosti come quelli legati al sistema sanitario o all’aumento del costo dell’assicurazione della propria auto o della propria moto.

Articolo a cura di: Alex Bettucchi e dell’Ing. Alfredo Perazzo

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NOTA: Alfredo Perazzo è un ingegnere Edile, con specializzazione nel settore dei Trasporti. E’ stato Saggio del Vicesindaco ed Ex Assessore ai Trasporti del Comune di Genova dott. Stefano Balleari, autore dello studio che ha evidenziato i limiti trasportistici legati al Nodo Autostradale di Genova, verificati e confermati dalla Commissione del MIT. Ha inoltre presentato in diverse sedi richieste di integrazione al PUMS di Genova, sia sul trasporto Pubblico Locale, sia sul trasporto privato e merci, che permetterebbero alla città di ottenere infrastrutture su ferro e su strada, tra cui il tunnel Subportuale, il prolungamento della Guido Rossa a Multedo ed il collegamento tra Campi ed il Casello autostradale di Aeroporto. Ha collaborato per l’attivazione di MiMoto a Genova e per il progetto del Cerchio Rosso di Boeri, vincitore del Concorso del Parco sotto al Ponte Morandi.